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Pastore Aurelio Cappello

 

UNA FEDE INGENUA E PIENA DI RISCHI

 

«L'uomo accorto vede venire il male, e si nasconde; ma gli ingenui tirano avanti e ne subisconole conseguenze»   (Proverbi 22,3).

 

Aurelio Cappello nacque a Siracusa il 21 ottobre 1896. Nato e battezzato nella Chiesa metodista wesleyana nella quale suo padre fu pastore, fin dall'adolescenza Aurelio si sentì attratto dal ministero cristiano. Uno zio prete avrebbe disposto un lascito testamentario a suo favore se avesse accettato di essere avviato al sacerdozio cattolico, ma egli rifiutò. Lo stesso padre, a un certo momento, sembrò riavvicinarsi alla chiesa cattolica. Comunque gli fece frequentare come esterno un collegio dei gesuiti. « È inutile che io vi dica come tutte le manifestazioni della pietà cattolica mi tornassero indigeste» (dal diario Dal mio punto di vista). La famiglia uscì miracolosamente illesa dal terremoto di Messina del 1908. Il padre morirà nel 1914. Alcuni anni più tardi, per interessamento del pastore Alfredo Tagliatatela, Aurelio intraprese gli studi di teologia nella Facoltà della Chiesa metodista episcopale di Roma.

Seguì il servizio militare; partecipò alla I Guerra Mondiale; nel 1917 fu promosso tenente; nel 1918 gli sarà conferita la medaglia di bronzo al valor militare dal ministero della Guerra «per atti di pietà» compiuti al fronte.

 

Terminata la guerra, volse le spalle alla carriera militare e fece ritorno agli studi di teologia. Completati questi, dal 1920 al 1925 gli furono assegnate, via via, le sedi pastorali di Treviso, Bassignana, Foggia. A Treviso potè inserirsi tra i conferenzieri dell'Università popolare, un'attività stroncata dal clero locale. Nel 1924 mori la prima moglie Ida Nespoli, appena ventenne, da cui ebbe Liliana.

Dal 1925 al 1929 venne assegnato a Palombaro. Questa fu la prima sede che Aurelio raggiunse con la nuova moglie Gilda Valerio, da cui avrà Leda, Febe, Fiorenza, Guido (campione nazionale di scacchi nel 1960) e Silvio. In quel periodo ebbero origine le persecuzioni che hanno segnato profondamente la sua vita.

…Fra le sue carte fu rinvenuta una lettera di Cappello contenente «frasi minacciose contro il regime fascista»: così recitava il telegramma inviato dalla Questura di Roma alla Questura di Chieti. Rigorosa perquisizione in casa. Nella lettera il pastore semplicemente si doleva di non essere stato autorizzato a partecipare alle onoranze tributate al poeta e patriota Gabriele Rossetti in occasione dell'inaugurazione del suo monumento a Vasto nel 1926: «Vede in che tempi siamo!

Occorre operare per rinnovare la coscienza religiosa della Patria nostra ed affrettare l'avvento del Regno di Dio». L'avvento del Regno corrispondeva, nella acuta visione della Questura fascista di Roma, al deprecato avvento del comunismo. Da quel momento si conquistò la fama di «noto antifascista». Il circolo giovanile «Gabriele Rossetti» di Palombaro sarà sciolto perché «diretto da persona che nutre sentimenti ostili al Regime ed abituale ritrovo di elementi sovversivi». Nelle lettere di protesta Cappello, con coraggio e lealtà, affermò che, come cristiano, non poteva non essere contro ogni forma di violenza e che, come evangelico, non poteva approvare la politica religiosa del Regime. La domenica 4 novembre 1928 presiedette regolarmente il culto nella cappella, mentre nella piazza si celebrava la messa dei caduti. Fu accusato di aver disturbato questa cerimonia con il canto degli inni, tanto che la Questura di Chieti gli intimò lo sfratto dal paese: era il 1929.

Nel 1927 era stato pubblicato a Guardiagrele (a pochi km da Palombaro) il suo lavoro più importante, Una via per la ricerca della verità. Ma, nonostante qualche recensione favorevole, il libro non ebbe buona accoglienza nel mondo evangelico, perché giudicato eterodosso, tanto che Cappello dovette impegnarsi a non diffondere il volume: le copie rimaste, ottocento su mille, furono destinate al macero. Scriverà ancora, fra l'altro: Confessione evangelica, Punti sugl'i; Bolle di sapone; Le novelle e numerosi articoli sull'Evangelista, la Gazzetta di Savona, Voce Metodista, da cui riprendo qualche titolo: «Ragione e fede»; «Libertà e giustizia»; «Matrimonio o concubinato?»; «Memorie ed oblio»; «Questa meschina morale corrente ecc.». Lo stile elegante ed essenziale con cui si esprimeva negli scritti religiosi, l'arguzia e il sottile umorismo dei suoi diari, dei suoi saggi, delle sue novelle denotavano grande profondità di pensiero e vasta cultura.

Un cenno alle successive sedi pastorali. Circuito di Bari (1929-30): incaricato della cura di gruppi e di co-munità nelle Puglie e in Lucania - lo accompagnarono i fascicoli polizieschi di Chieti. La Questura di Taranto ordinò un'altra perquisizione nella sua abitazione di Mottola e gli fu vietato di predicare e di esercitare quivi qualsiasi funzione di culto. Invano fece inoltrare al Ministero i documenti per il riconoscimento prescritto dalla nuova legge sui culti ammessi. Intanto il Distretto Militare di Taranto lo sospendeva dal grado di ufficiale a tempo indeterminato accusandolo di svolgere un'attività antinazionale sotto «le specie del culto».

Pisa (1930-33). In questa città poté svolgere in pace il suo ministero e si laureò in Legge con una tesi in Filosofia del diritto, ma fu invitato a Firenze per comparire dinanzi alla commissione disciplinare dell'esercito. «Ritiene lei che il Protestantesimo debba espandersi in Italia?». «Senza dubbio, chi nutre nel cuore una fede non può fare a meno di propagarla». Dopo qualche mese ricevette la comunicazione della rimozione dal grado di ufficiale dall'esercito «per motivi politici contrari al giuramento»…riuscì alla fine, a ottenere la reintegrazione nel grado di ufficiale dell'esercito.

Dovette subire una visita psichiatrica. «Correva voce che io non fossi in pieno possesso delle facoltà mentali per essermi astenuto, nella Conferenza annuale della Chiesa Metodista Episcopale tenuta a Roma nel 1936, dall'approvare i telegrammi di omaggio mandati dall'assemblea al Duce ed al Re». Nel 1939 la Chiesa metodista episcopale si riorganizzò, assunse alcuni pastori, in pratica sei. Mentre gli altri, pur pastori consacrati, fra cui Cappello, ricevettero incarico di coadiutori.

Nel 1939 Cappello fu inviato a Savona. La comunità accolse con grande simpatia lui e la sua numerosa famiglia. Nel gennaio 1941 fu nominato cappellano militare per le chiese metodiste, ma poi ne fu esonerato sempre a motivo dei suoi precedenti politici. Stanco e sfiduciato, preoccupato per la sorte dei suoi sei figli, fece richiesta della tessera del partito per assicurarsi una qualsiasi sistemazione. La domanda venne respinta dalla Federazione di Savona, perché figurava sempre come un irriducibile antifascista. Richiamato sotto le armi, venne assegnato a un battaglione di stanza in Slovenia, poi trasfe-rito in Africa settentrionale, e infine, in considerazione della sua numerosa famiglia, rimpatriato e trattenuto pres¬so il Distretto militare di Savona. Nell'aprile 1943 veniva chiamato dinanzi alla commissione di disciplina del partito e interrogato sui suoi rapporti con Francesco Fausto Nitti.

Forse Cappello non seppe valutare a sufficienza il di-svalore che la Repubblica fascista incarnava nella sua ideologia, nel suo essere uno Stato fantoccio nelle mani del peggiore nazismo, nel suo opporsi all'unica Italia legale che stava ritrovando con sangue e fatica la strada della democrazia e della libertà, quegli ideali, cioè, che avevano fino ad allora caratterizzato la vita di Aurelio. Gli fu affidato l'ufficio matricola ufficiali nel quale prestò servizio fino alla Liberazione. «Ciò gli permetteva di sfamare moglie e figli», scrisse la figlia Leda. Due volte fu comandato come giudice supplente presso il Tribunale ordinario della divisione San Marco. In ossequio alle sue convinzioni cristiane, in camera di consiglio, si oppose alla pena di morte nei confronti di alcuni miliari rei di diserzione. Corse, così, dei gravi rischi per la sua coraggiosa protesta contro tale pena, sancita dal Codice militare. Si adoperò presso Paolo Nitti, ultimo questore fascista di Savona, per la scarcerazione di alcuni partigiani.

Con la Liberazione tentò di riprendere il suo ministero nella comunità di Savona, ma nel maggio 1945, du-rante un culto, entrarono in chiesa due partigiani che lo arrestarono. Fu raggiunto dalla giustizia partigiana. Se fosse stato ritenuto colpevole da quella giustizia sommaria dell'epoca non ne sarebbe uscito vivo. Fu, però, duramente percosso per ottenere da lui delle rivelazioni. Fu sul punto di essere fucilato. Tradotto nel carcere della città dove erano concentrati molti gerarchi fascisti (tra cui il questore Paolo Nitti) e ufficiali di alto grado, imputati di collaborazionismo, interrogato dal giudice circa le sedute dei tribunali militari alle quali aveva partecipato, fu rimesso in libertà perché il fatto addebitato non costituiva reato. Il vescovo di Savona, mons. Giovanni Battista Parodi, intervenne negli uffici della Questura perché fosse dispensato dalla bonifica del campi minati, alla quale venivano adibiti gli ex detenuti politici.

Lasciata Savona, la numerosa famiglia trovò a Roma presso il collega Anselmo Ammenti un'accoglienza generosa. La famiglia fu poi costretta a vendere tutti i mo-bili e si disperse.

Il collega Riccardo Santi accolse a Casa Materna due figli che poterono continuare gli studi, la signora Rosa Ammenti accolse la moglie e le figlie.

Il pastore Alfredo Tagliatatela gli fece pervenire dal Canada dei doni in denaro; il sovrintendente della Chiesa metodista wesleyana Emanuele Sbaffi gli fu di grande appoggio morale.

Infine, nel dicembre 1946, la comunità di Palombaro lo chiamava a riprendere il suo ministero interrotto bruscamente nel 1929.

Nel maggio del 1947 al Sinodo di Bologna veniva accolto nel Corpo pastorale della Chiesa metodista unita. Una parte della sua famiglia poteva di nuovo riunirsi. Nell'ottobre veniva di nuovo arrestato, questa volta dalla giustizia ordinaria, e dopo una breve permanenza nelle prigioni di Casoli e di Chieti, fu tradotto a Savona dove rimase fino al febbraio 1948.

Il pastore Francesco Cacciapuoti lo seguì fraternamente durante la sua permanenza in carcere. Due volte fu arrestato, due volte assolto e scarcerato. Rilasciato, venne a sapere che presso la questura di Roma erano custoditi, come presso quella di Chieti, voluminosi fascicoli intestati all'antifascista Aurelio Cappello. Così a Bari, Taranto, Pisa, Torino, Savona.

Le sedi successive saranno: Pescara (1948), Villa S. Sebastiano (1949-51); Salerno (1951-56); Gorizia (1956¬61: da questa sede teneva culti anche a Radio Trieste); Poschiavo (Cantone dei Grigioni, 1961-62), la sua ultima sede perché, colto da infarto, dopo alcuni giorni di degenza all'ospedale di Zurigo, mori il 19 settembre 1962. Aurelio Cappello ha lasciato il ricordo di un pastore molto gradevole: una persona colta, un intellettuale aperto al dialogo, che sviluppò anche nei colloqui che intratteneva con membri del clero cattolico, anticipando l'apertura ecumenica con il cattolicesimo, con il quale peraltro, quando era stato necessario, aveva saputo polemizzare con tanta efficacia (vedi il suo libro Bolle di Sapone). Così il Pastore Aurelio Cappello conclude le sue memorie: «Ho sofferto insieme con gli antifascisti dal 1927 al 1942, ho sofferto coi fascisti dal 1945 in poi, eppure non ho mai esplicata alcuna attività politica. Ma sia prima che dopo, ho combattuto sempre per la verità dell'Evangelo, per la libertà religiosa e per l'affermazione della suprema legge della carità. Per questi ideali ho combattuto nelle chiese e fuori di esse, con la predicazione e con la stampa, negli anni del mio ministero e della mia vita militare e per questi ideali ho combattuto anche quando ero in catene nelle prigioni, evangelizzando i miei custodi ed i miei compagni di pena». Tornando all'opera di Roth, potremmo riassumere anche le vicende di Aurelio Cappello con il titolo: «Giobbe», e come sottotitolo porrei questa frase tratta dalla prefazione scritta dalla figlia Leda alla raccolta delle sue novelle intitolata Cose di questo mondo: 

«Chi l'ha conosciuto ricorda di lui il carattere schivo da ogni convenzionalismo, il candido ottimismo che gli faceva accettare con paziente rassegnazione ogni avversità, l'entusiasmo con cui intraprendeva ogni nuova iniziativa, la grande fede».

 

(cfr.: Valdo Benecchi, Guardare al passato, pensare al futuro, Claudiana, Rorino 2011, pp. 55-61)

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